Una ricerca sui ricordi degli anziani
"Quelli sì che erano bei tempi!", è una frase che sentiamo ritornare inalterata nei racconti dei nostri nonni o in generale degli anziani che parlano della loro gioventù. Se prima si pensava che il fatto di vedere tutti quegli eventi in modo positivo, nonostante spesso fossero ambientati in tempi di guerra, carestia e povertà, fosse legato solo alla nostalgia per i loro anni verdi, oggi, uno studio pubblicato dalla rivista Elsevier’s Cortex dimostra che questo atteggiamento ha vere e propri basi scientifiche.
Lo studio condotto dalla Dottoressa Donna Rose Addis dell’Università di Auckland insieme ad un team di ricercatori coadiuvati dalla Dottoressa Elizabeth A. Kensinger del Boston College, ha rivelato come la capacità di ricordare il passato in modo positivoè legato al modo in cui il cervello elabora i propri contenuti emotivi. Nel cervello degli adulti infatti, le connessioni tra le regioni che elaborano le emozioni e quelle che vengono considerate fondamentali per la conservazione dei ricordi sono molto forti, in particolare quando le informazioni che vengono elaborate sono positive. Ai due gruppi di persone sottoposti al test (uno di età tra i 19 e i 31 e l’altro tra i 61 e gli 80), sono state mostrate fotografie con soggetti positivi e negativi, quali ad esempio uno sciatore vittorioso o un soldato ferito, mentre tramite risonanza magnetica, veniva monitorata l’attività del loro cervello. Al termine di questa fase, alle persone è stato chiesto di ricordare quante più immagini possibili e si è visto che l’età non aveva influito sulla connettività tra le regioni implicate nella formazione della memoria per le immagini negative. Al contrario, per quanto riguarda le foto positive, nel cervello degli anziani due regioni, legate all’elaborazione delle emozioni, erano fortemente connesse alle aree della formazione del ricordo, cosa che invece non succedeva assolutamente nei giovani, rendendo quindi più difficile per loro ricordare le esperienze positive molto a lungo.
Lo studio condotto dalla Dottoressa Donna Rose Addis dell’Università di Auckland insieme ad un team di ricercatori coadiuvati dalla Dottoressa Elizabeth A. Kensinger del Boston College, ha rivelato come la capacità di ricordare il passato in modo positivoè legato al modo in cui il cervello elabora i propri contenuti emotivi. Nel cervello degli adulti infatti, le connessioni tra le regioni che elaborano le emozioni e quelle che vengono considerate fondamentali per la conservazione dei ricordi sono molto forti, in particolare quando le informazioni che vengono elaborate sono positive. Ai due gruppi di persone sottoposti al test (uno di età tra i 19 e i 31 e l’altro tra i 61 e gli 80), sono state mostrate fotografie con soggetti positivi e negativi, quali ad esempio uno sciatore vittorioso o un soldato ferito, mentre tramite risonanza magnetica, veniva monitorata l’attività del loro cervello. Al termine di questa fase, alle persone è stato chiesto di ricordare quante più immagini possibili e si è visto che l’età non aveva influito sulla connettività tra le regioni implicate nella formazione della memoria per le immagini negative. Al contrario, per quanto riguarda le foto positive, nel cervello degli anziani due regioni, legate all’elaborazione delle emozioni, erano fortemente connesse alle aree della formazione del ricordo, cosa che invece non succedeva assolutamente nei giovani, rendendo quindi più difficile per loro ricordare le esperienze positive molto a lungo.